Permesso? Posso entrare?

Permesso ?  Posso entrare in casa?

La mia riflessione parte proprio da un messaggio importante che mi è stato trasmesso quando sono arrivata in ADVAR: quando si entra in una casa e ci si prende cura di chi la abita, bisogna farlo “in punta dei piedi, adagio adagio”.

Faccio parte dell’équipe domiciliare che da sempre opera in quest’ambito, costituito di intimi legami: la casa.

Proprio la casa, infatti, racconta l’identità delle persone, la loro storia ed è lo specchio di ciò che sta accadendo. Durante l’assistenza, le famiglie devono “aprirsi” ad una nuova realtà e modificare il loro ambiente casalingo per accogliere le esigenze di chi sta male. Si tratta di un passaggio molto forte, perché significa modificare un assetto consueto, fatto di abitudini e certezze, e adattarlo a qualcosa di nuovo.

Questo comporta accettare vissuti ed emozioni, che vanno accolte in qualunque modo siano espresse, a volte a parole, talvolta con il silenzio o con il linguaggio del corpo.

Sentirsi pensati nella propria interezza di malato e di famiglia è uno dei bisogni più importanti: per questo gli operatori dell’équipe lavorano per accogliere i bisogni e orientare le scelte, mettendo in campo tutte le loro qualità professionali ed umane.

Quando arrivo presso una famiglia che vedo per la prima volta, mi predispongo a farlo come se dovessi fare spazio dentro di me … per permettermi di entrare senza condizionamenti. Ogni visita è un’esperienza nuova, anche quando vado più volte nella stessa casa; è come un viaggio in cui si rivelano orizzonti sconosciuti, proprio come fanno i “compagni di viaggio”.

Mi rendo conto di quanto importante sia “affiancare e non oltrepassare”, proprio come si fa quando ci si prende per mano per fare un cammino insieme.

L’ammalato e la famiglia hanno bisogno di capire se sono compresi per quanto stanno vivendo, con la consapevolezza che stanno affrontando un periodo della vita permeato dall’incertezza della quotidianità e del futuro, mentre io imparo continuamente quanto sia importante l’atteggiamento interiore fatto di rispetto, delicatezza, disposizione all’ascolto, in un tempo che non deve corrispondere al mio, ma a quello degli altri.

Esprimersi con garbo e gentilezza, lavorando sul tono della voce, la postura, lo sguardo, aiuta a far sentire la presenza, quello che noi definiamo l’esserci.

Spesso mi trovo a fare i colloqui in spazi della casa dove il famigliare si sente più tranquillo, perché quello spazio per lui ha un senso. E in quello spazio io mi muovo come se fossi un ospite.

Rivaluto ogni giorno l’importanza dei piccoli gesti come bere il caffè insieme, mangiare una fetta di torta, passeggiare in giardino aprendo così uno spazio di condivisione umana che rappresenta il primo gesto di cura: quel caffè che prima era un’abitudine data per scontata, ora acquista valore con l’incontro.

È qui che la mia vita professionale arricchisce me: le persone che ho incontrato, i legami che ho costruito, hanno saputo regalarmi il senso profondo della vita.

Tutto questo mi porta a dire grazie: grazie per le risorse e la grande forza d’animo che le famiglie riescono a far emergere dalle difficoltà, dimostrando il valore dell’appartenenza, della fiducia e dell’Amore, beni di cui tutti abbiamo fame e sete.

Chiara Mazzer – Psicologa équipe domiciliare ADVAR

Parliamo insieme di Lasciti Testamentari Solidali.


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