Recensione del libro “La luce delle stelle morte”
“La luce delle stelle morte” di Massimo Recalcati.
Recensione di Maria Augusta De Conti
Il saggio di Massimo Recalcati La luce delle stelle morte (Feltrinelli Editore, Milano 2022) è un testo agile e, allo stesso tempo, intenso nell’affrontare il tema del trauma della perdita. L’autore offre la sua riflessione non solo sulla perdita di una persona cara, ma anche sulla perdita degli ideali per i quali abbiamo vissuto, di un amore o della terra nativa. Se consideriamo in particolare la perdita delle persone care, questo saggio può rappresentare uno strumento di ripensamento e di sistemazione di pensieri, emozioni, dubbi che quotidianamente emergono in coloro che lavorano nell’ambito dell’elaborazione del lutto.
Ecco allora alcuni stimoli utili alla riflessione di quanti vorranno farne tesoro.
La luce che arriva da stelle che non esistono più
Mi soffermo innanzitutto sul titolo del libro di Recalcati che riassume il significato del suo saggio: La luce delle stelle morte. E’ una bellissima suggestione che allude al fenomeno astrofisico della luce che arriva da stelle che non esistono più nello spazio. Sembra un paradosso che la mente umana non potrebbe concepire se non le venisse in aiuto la scienza. Eppure è ciò che accade. Secondo Recalcati, questo ‘paradosso’ dovrebbe verificarsi anche nella relazione con le persone che ci hanno lasciato per sempre: essere, nonostante tutto, luce per noi. Il loro ricordo può così diventare illuminazione e fonte di vita, aiutandoci a rileggere la nostra esistenza, sì da orientarci nuovamente in essa. Recalcati lo dimostra in vari modi, anche attraverso casi che appartengono alla sua stessa biografia. Per esempio, ci riporta il ricordo di un’insegnante che durante gli esami di maturità del suo allievo, lo esorta con queste parole: “Massimo, resta lucido!”, un invito a essere pienamente se stesso, a coltivare quello che egli veramente è, a concentrarsi su di un esatto punto di sé. In questo modo questo ricordo diventa come una luce di riferimento. Recalcati, più precisamente, lo chiama dettaglio, ben distinguendolo dal frammento.
Il frammento, infatti, acquista senso solo se ricomposto con altri frammenti per arrivare a un unicum. Ricomporre i pezzi sparsi è esattamente quello che si fa durante un percorso terapeutico, quando si cerca di ricostruire e dare significati ai momenti frammentati della vita di una persona. Il dettaglio, invece, è un particolare preciso, un punctum, che illumina l’esistenza umana, come un ricordo arricchente. Per arrivare a questo – al dettaglio che diventa punto di luce – è importante dunque realizzare il “lavoro del lutto” che per Recalcati, a differenza di Freud, fondatore della psicoanalisi, non si compie mai del tutto perché lascia sempre uno scarto, un resto che non si può dimenticare e che rende “quella medesima traccia, generativa di un nuovo desiderio” (p. 77).
In altri termini, è fondamentale che il ricordo della persona cara che ci ha lasciati ci apra, nonostante l’atroce dolore, di nuovo alla vita.
Il lavoro del lutto, attraverso la memoria, il dolore psichico, il tempo
Che cos’è allora il “lavoro del lutto”, secondo Recalcati? Per spiegarlo l’Autore ci indica, prima di tutto, i casi in cui esso non si realizza. Il primo riguarda il lutto che si cronicizza in una malinconia che ci tiene attaccati alla persona morta, il secondo invece si verifica quando vogliamo negare il trauma della perdita. Il lavoro del lutto che si attiva intorno al vuoto apertosi con la perdita di una persona cara è un lavoro lungo, addirittura “atroce” e implica tre elementi: la memoria, il dolore psichico, il tempo. Il dolore del lutto si configura dunque come un lavoro della memoria (“L’oggetto perduto viene riconosciuto in tutte le sue possibili rappresentazioni”, p. 70), è accompagnato dal dolore psichico e non può essere realizzato in tempi rapidi. Il lutto richiama la nostalgia giacché nessun lavoro del lutto può mai compiersi pienamente – “esiste sempre un resto, qualcosa di indimenticabile, che non ci consente di staccarci del tutto dalle nostre perdite” (p. 16). A tal riguardo l’autore riconosce due tipi di nostalgia: la nostalgia-rimpianto tutta incentrata sulla memoria di un passato vagheggiato come “paradiso terreste” a cui si tende sempre a tornare, e la nostalgia-gratitudine che trasforma il ricordo in un nuovo motivo di vita e in un’eredità che ci lasciano i nostri morti. Ed è proprio lavorando su quest’ultima che possono aprirsi nuovi orizzonti per la persona in lutto.
La narrazione del dolore e l’esperienza di Rimanere Insieme Advar
Memoria, dolore, tempo sono dunque elementi fondamentali nel lavoro del lutto. L’esperienza con i dolenti di Rimanere Insieme ne sottolinea anche un quarto: la narrazione del proprio dolore. Quando le persone si rivolgono al nostro servizio (percorsi individuali, gruppi di sostegno, percorsi di scrittura), riescono a esprimere il proprio dolore perché lo narrano condividendolo con chi, come loro, è stato colpito da un lutto e sa così accoglierlo e comprenderlo. In questo modo, il dolore comincia a poco a poco ad attenuarsi. Certo, non scompare ma, proprio per il fatto di essere espresso e narrato più volte e con parole diverse, esso può essere accettato e trasformato per continuare a vivere con nuova pienezza. Insieme alla memoria e alla nostalgia-gratitudine di cui parla Recalcati, la narrazione mantiene vivo il ricordo del proprio caro, assenza che si fa comunque presenza. Come la luce delle stelle che non ci sono più continua ad illuminarci, così anche il ricordo della persona cara scomparsa (p. 115) richiama “un passato che non è portatore di colpa e di rimpianti quanto piuttosto di un sentimento profondo di gratitudine. E, in questo senso, non è solo passato ma promessa di avvenire”.
Maria Augusta De Conti, équipe di ADVAR Rimanere Insieme