A volte le persone ci onorano con il racconto delle loro storie di vita, ce lo affidano ritenendoci degni di riceverlo. Sia il racconto che l’ascolto sono portatori di un reciproco riconoscimento di valore.
Ascoltare le storie intime, famigliari, episodi significativi di un lontano o più recente passato è come tenere tra le mani qualcosa di molto prezioso, grati per essere stati scelti per questo privilegio.
(omissis)
Siamo scese nella fondamenta del “castello incantato“, siamo nel garage di casa Mancini Rizzotti. Queste stanze parlano ancora degli esordi da “covi” di cospiratori del bene.
Parlano di slanci, di entusiasmo, di sforzo organizzativo: qui si riunivano i primi volontari, qui si sono tenuti i primi corsi di formazione, ancora si vedono qua e là i manifesti dei primi concerti e dei primi incontri culturali. Ascolto Anna che racconta del suo instancabile coinvolgimento di quei giorni. “Il mio sguardo, a detta degli amici, era un fuoco che bruciava ogni difficoltà che incontravo: paure, resistenze, inviti a ripensarci. E’ una follia -sostenevano in molti, troppi – riportare il morire entro le mura domestiche. Capii che bisognava rompere ogni indugio, accellerare i tempi e partire. Il rischio, altrimenti, era la paralisi.”
(omissis)
Nelle sue descrizioni si susseguono scene di amicizia e operosità, sull’onda di un fervore pionieristico teso a costruire lì dove non c’era nulla, impegnato a muovere -in un desolante vuoto- i primi passi dell’assistenza domicilaire al malato terminale, in linea con l’affermarsi delle nascenti Cure Palliative in contesti più ampi e istituzionalizzati.
Qualcuno aveva parlato di utopia. Qualcuno aveva definito sconsiderata l’idea di Anna, frutto immaturo del difficile momento che la sua vita stava attraversando. “Si calmerà“: perfino questo era stato detto.