La scuola è ricominciata
La pedagogia è un’azione umana, dunque fragile. È quello che fa la sua forza.
[“Una scuola per l’emancipazione” di Philippe Meirieu]
Ora ho bisogno solo di questo: dell’umanità che si fa spazio dentro aule “igienizzate”
ma che, sono sicura, si potranno riempire presto della “sporcizia” della nostra umanità.
[Insegnante di Scuola Primaria]
Settembre, il mese che, in Italia, chiama ogni anno sui banchi di scuola bambini e ragazzi. Tuttavia quest’anno la ripartenza è stata fuori dell’ordinario, figlia del lockdown e in concomitanza con una pandemia che ha trasformato le abitudini di tutti noi. Perciò vorremmo offrire, come Advar, una riflessione su questo complesso momento storico e per farlo abbiamo coinvolto alcuni insegnanti, chiedendo loro di condividere pensieri ed emozioni.
Marzo 2020: una fine ed un nuovo inizio
Un periodo sicuramente drammatico è stato affrontato a marzo quando, senza prima aver potuto preparare delle strategie, anche la didattica è cambiata portando la presenza su un piano virtuale provocando una grande perdita di quei gesti che creano relazione e trasmettono empatia. «Anche semplicemente l’avvicinarsi durante una verifica per dare delle piccole indicazioni sottovoce o una mano sulla spalla in un brutto momento sono gesti importanti a scuola». Altrettanto inaspettatamente aver sperimentato questo passaggio, ha permesso di individuare non solo diverse criticità sistemiche, ma anche molte potenzialità. Infatti la pandemia ha in qualche modo unito insegnanti ed alunni: entrambi si sono trovati ad affrontare insieme qualcosa di sconosciuto e a condividerne i sentimenti da prospettive diverse. La dimensione di scambio quindi non è mai venuta meno e seppur mediata da uno schermo ha in taluni casi permesso di aumentare il grado di confidenza.
Nonostante la perdita del contatto fisico, degli sguardi, della mimica del corpo, fondamentale veicolo di trasmissione dell’insegnamento, si è potuto fare largo «uso della fantasia per rendere la comunicazione più interessante e più empatica possibile», riuscendo talvolta a raggiungere momenti di grande intimità. «Siamo entrati in molte case di studenti, le webcam hanno permesso di condividere mondi familiari e spazi di vita privata. Spesso abbiamo intravisto genitori o fratelli degli studenti, talvolta abbiamo potuto interagire anche con loro. In qualche occasione siamo stati, per lo più di nascosto, visti e ascoltati anche dai genitori». Vedere ed interagire con l’altra parte della vita del bambino ha permesso agli insegnanti di avere un quadro più completo e in alcuni casi di realizzare una didattica partecipativa in senso più ampio. Specialmente per i più piccoli, seppur con carenze sul piano sociale e relazionale, si è cercato di integrare i due luoghi principali dello sviluppo e della formazione: la scuola e la famiglia.
Autoisolamento, perdita di contatto con la realtà, ma anche nascita di nuovi interessi e passioni
Alcuni insegnanti hanno avvertito l’importanza rivestita dai luoghi fisici per la creazione della realtà, per definizione di un contesto preciso e nella formazione di un’esperienza. Hanno inoltre appuntato tra le perdite significative anche «il contatto con l’ambiente, varcare la soglia dell’altra casa mia, l’odore dei corridoi, delle aule, il cortile, la pausa pranzo, il rumore». Anche momenti un tempo dati per scontati, come i saluti, hanno lasciato un grande vuoto, soprattutto per le classi che stavano concludendo un ciclo di studi: «i miei ragazzi di quinta se stanno andando ad affrontare l’avventura della crescita, ma se ne sono andati senza un rito di passaggio, senza una lacrima, un abbraccio, un’emozione».
Nell’aiutare gli studenti a prendere coscienza di ciò che stava accadendo, non sono mancate le difficoltà, paradossalmente, nel connetterli con il mondo: «rimane in me l’impressione che la scuola, il voto, la preoccupazione di adeguarsi a questo nuovo modo, sia stato, per loro, un alibi – o forse una strategia – per non vivere in pienezza il “dramma del periodo”. Tutti erano chiusi nella bolla dello studio ed è stato faticoso renderli partecipi del mondo fuori dalla loro cameretta». Alcuni studenti si sono auto-isolati riducendo il loro mondo ad una o poche stanze della casa o ad un mondo di finzione fatto di videogiochi e social. Altri hanno approfondito anche attraverso paure e tristezza il proprio mondo interiore, scoprendo nuove passioni, utili nell’elaborazione di quanto stava accadendo, tra queste la lettura, la scrittura e il disegno.
La Scuola della Vita insegna
Tuttavia l’utilizzo dei mezzi tecnologici ha messo in luce anche forti carenze didattiche, grandi disparità socioeconomiche e provocato molti disagi: «alcuni genitori hanno segnalato situazioni di grave difficoltà dei loro figli e di assoluto abbandono di tutte le relazioni». Tra gli insegnanti c’è anche chi ha evitato di apparire in video, temendo utilizzi non approvati della propria immagine e chi si è sentito abbandonato e impreparato. Nonostante la didattica a distanza abbia lasciato una grande stanchezza e l’orizzonte sia ancora incerto, durante la pausa estiva molti insegnanti si sono aggiornati acquisendo nuove competenze digitali. Eppure emozione e responsabilità di questo nuovo inizio si mescolano a tensioni e delusioni generate dal dover vivere una scuola diversa da quella immaginata. «La prospettiva che più mi manca è la possibilità di far lavorare i bambini in gruppo: era la modalità principale del mio fare scuola e negli ultimi anni ho sperimentato la forza di questa organizzazione del lavoro. Ho avuto bisogno di diversi giorni per elaborare questo e per immaginare dinamiche di relazione con i bambini che non so ancora come saranno». Anche incontrarsi attraverso la mascherina e il distanziamento fisico costituisce una piccola, ma significativa, rinuncia nel momento di conoscere nuovi studenti e insegnanti.
Quest’esperienza, che da un lato ha accelerato diversi processi sui quali occorre riflettere, ci ha fatto capire più che mai che le relazioni faccia a faccia sono insostituibili ed ineguagliabili. Non tutte le attività possono essere svolte on-line: «il percorso di elaborazione del lutto nell’Istituto non ha potuto proseguire perché, come segnalato dagli studenti, non è facile parlare di queste cose da casa, quella stessa casa che è stata luogo di morte e dolore». Pertanto ripartire non solo è necessario e desiderato, ma diventa un’azione educativa, poiché è la scelta, nella ritrovata consapevolezza della nostra vulnerabilità, di accettare un rischio per un bene maggiore: il Futuro.
Caterina Zanatta Pivato
Antropologa culturale – équipe Rimanere Insieme ADVAR
Un sentito ringraziamento agli insegnanti che si sono soffermati a riflettere con noi sulla loro esperienza e ci hanno offerto, attraverso le loro parole, uno sguardo attento sul mondo della scuola.