Nulla si perde, tutto si trasforma
Nulla si perde. Tutto si trasforma
La sofferenza per il distacco da chi amiamo è presente fin dalla nascita in ciascuno di noi: quando riferita al parto e alla nascita del bimbo si placa e diventa speranza, mentre se collegata alla morte di una persona cara diventa sconforto, disperazione. La sofferenza accomuna ogni essere umano nelle esperienze più difficili e traumatiche da affrontare e solo riconoscendola si può ri-trovare serenità dentro la propria vitale quotidianità.
Nel servizio Rimanere Insieme di Advar onlus accogliamo le persone che stanno attraversando il dolore per la morte di un proprio caro e grazie all’incontro con loro è possibile per me riflettere su questo tema offrendo, a chi avrà la pazienza di leggere questo testo, una chiave di lettura della sofferenza per sentire che nulla va davvero perduto ma tutto si trasforma, anche dopo l’esperienza di un lutto.
Un nuovo inizio che nasce da una fine
Pochi pensano al fatto che, per vivere e crescere, gli esseri umani devono subire il taglio del cordone ombelicale. E’ un taglio che avviene in modo improvviso, traumatico e quando sta per arrivare è fonte di preoccupazione e di dolore. La prima cosa che fa il bimbo quando nasce è piangere: solo il contatto con la sua mamma lo tranquillizza, la presenza fisica che lo accoglie e lo sostiene, lo rassicura. Senza quel taglio netto, che lascia per sempre un segno fisico nella pancia di ogni essere umano venuto al mondo, non potrebbe esserci alcun nuovo inizio. Per poter iniziare a vivere, insomma, il bambino deve morire alla sua vita precedente dentro la sua mamma. Il modo con cui madre e un figlio stavano prima insieme, protetti dalla placenta, deve dunque evolvere per poter garantire la continuità del legame. La relazione tra loro, dopo la nascita del bimbo, sarà di natura diversa e si costruirà, giorno dopo giorno, grazie ad una presenza fatta di gesti di amore.
Così, quando muore una persona cara, la relazione cercata, conosciuta, desiderata non può più continuare ad esistere come prima. Di nuovo il pianto rappresenta il dolore disperato per qualcosa che non si vuole. Le sicurezze su cui poggiava quella relazione vanno perdute per sempre e la tristezza, insieme alla paura, rende evidente un presente sconosciuto, tutto da ri-costruire. Se alla nascita l’avvicinamento del corpo del figlio alla mamma genera fiducia, chi, dopo la morte, potrà sostituire in modo rassicurante, quella che è divenuta una assenza? Nessuno. La consapevolezza che nessuno può sostituire qualcun altro può lasciare smarriti dentro ad un vuoto profondo e soffocante, come se si morisse a propria volta, anche se il corpo continua a respirare.
La vita che ha la meglio sulla morte
Come sarà possibile allora vivere senza l’altro? La certezza che nessuno può prendere il posto di chi è morto diventa salvifica, perché lascia presagire che si può costruire un nuovo legame interiore con quella stessa persona. Interiorizzarla permette di poterla sentire dentro di sé come parte della propria storia di vita, una storia che è nata nel passato ma continua a vivere nel presente grazie alla capacità del dolente di nominare e onorare il proprio caro, di averlo con sé per sempre. Attraverso l’elaborazione del lutto è possibile attivare il processo che porta dalla presenza fisica alla presenza dentro il cuore, dal dolore per l’assenza alla serenità della riscoperta di una relazione che non ha tempo e dentro la quale si ha un ruolo generativo. Ed ecco che questo può essere raccontato dalle persone che accogliamo nei colloqui o nei gruppi di sostegno come ricordi che fanno sorridere, ricordi di cui si ha il piacere di parlarne. Altri ci raccontano i momenti celebrativi come può essere il compleanno del proprio caro, invitando amici e parenti ad una cena dove si mangiano solo cose preparate con le ricette della persona defunta. Oppure c’è chi inizia a scrivere un diario e racconta ogni giorno al proprio caro fatti e pensieri. Chi crea un memorial collettivo – sportivo, culturale, letterario – per ricordarlo in varie edizioni che continuano negli anni. Oppure chi ritrova il proprio caro, prendendosi cura della sua tomba: il cimitero è un luogo pubblico dove ognuno ha un posto suo, le date di nascita e di morte e la fotografia sono parti di un rito che rende la persona morta visibile e non invisibile, trovabile e non introvabile. Proprio con quella mano che porta un fiore o con quella preghiera pronunciata ai piedi della tomba, si diventa consapevoli come nulla sia terminato ma tras-formato. In un certo senso, finché ci sarà qualcuno che ricorderà e nominerà chi non è più tra i vivi, la vita avrà la meglio sulla morte. Questa relazione così rigenerata parlerà, farà rumore, continuerà a creare legami come quando un genitore parla al proprio figlio del nonno defunto, ma vivo nel suo cuore e nei suoi pensieri. La vita ci appare così per quello che è: cicli che si aprono e si chiudono continuamente, senza che vi sia in realtà mai una vera fine.
E allora l’essere umano si apre alla meraviglia.
Caterina Bertelli, équipe di ADVAR Rimanere Insieme